(because something is happening and you don't know what it is)

 

LA "NEVE"

di monica crassi



Quando poi alla fine la “neve” cadde sul serio, e la vedemmo scendere da chi sa dove sul giardino, sul salice, sulla piscina triangolare e sul tetto della fattoria, tutti riprendemmo a respirare regolarmente, qualcuno rise, altri si commossero, e dopo un secondo o due di silenzio l’aria fu riempita dal rumore di un applauso fortissimo. Io e gli altri più piccoli ci mettemmo a fare quel gioco di far capitare un fiocco di neve fra palma e palma nel battere le mani che adesso, quando nevica, vedo sempre fare a mia figlia.


Era tanto tempo che Dio non faceva i suoi giochi di prestigio, e già da qualche domenica uno dei grandi a turno timidamente provava a chiedergli con tanti giri di se e di ma perché non gli andava più di fare uno o due dei suoi trucchi, che era sempre un bel modo di passare la domenica in compagnia.


Tutti ancora ricordavamo i racconti dei nostri fratelli più grandi e degli zii, di quando Dio tornò dal suo secondo viaggio di nozze con la valigia piena di decine e decine di regalini per noi piccoli: due colline, un uragano, i rododendri, la via lattea e tutti quegli altri nomi assurdi che aveva trovato per le cose e gli “animali” che si era inventato per far divertire questa nuova moglie.


Nelle riunioni di famiglia ancora adesso arriva sempre il momento – in genere subito dopo pranzo, quando le zie si sono già appisolate sul divano – in cui qualcuno dei nipotini prova a chiedergli di raccontare la storia di quando durante la luna di miele “inventò il mondo”, nella speranza che preso dalla foga del racconto lui butti lì qualche nuova diavoleria. All’inizio Dio si schermisce sempre ma poi qualche volta cede, e se è in una giornata di buonumore magari qualcosa di nuovo lì per lì su due piedi se la inventa sul serio. Come quella volta della neve, appunto.


Me lo ricordo benissimo, erano già due o tre domeniche che al momento di aprire il pacchetto dei dolci diceva serio serio: vabbè, allora, visto che insistete tanto, ora mi mangio un babà e poi me ne torno a lavorare, così riesco a mettere a punto questo nuovo giochetto che ho deciso di chiamare la “neve”. Se funziona, non è detto che domenica prossima non ve la faccia vedere.


E così finalmente arrivò la domenica della “neve”. Saranno passati sei o settemila anni da quella domenica, e di invenzioni lui dice sempre che non ne vuole più sapere. Ora è andato a riposare sull’amaca in giardino, ma l’ho sentito, prima, mentre sussurrava ai bambini che se fanno i buoni domenica prossima ha una sorpresa per loro.

 

 

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